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Cadono nel vuoto: come venti anni fa dalle Torri Gemelle

di Carlo Verdelli in “Corriere della Sera” del 17 Agosto 2021

È sicuro che non ce la farai, non hai speranze di restare vivo, nessuna. La cosa che stai per fare non ha margini, va contro la prima regola iscritta nel codice genetico: conservare la vita a ogni costo, contro ogni evidenza.

Eppure sei arrivato a un punto che sta oltre il confine della nostra genetica. I fantasmi del presente che ti stanno travolgendo hanno la meglio. E allora ti butti da un grattacielo, sapendo che nessun angelo verrà a prenderti mentre precipiti, oppure ti aggrappi al carrello di un aereo in decollo con la certezza che le tue mani non potranno reggere la furia d’aria che ti costringerà a mollare la presa e a cadere come un sasso che si frantumerà a terra.

Le ombre delle persone che si lanciarono dalle Torri Gemelle si sovrappongono plasticamente a quelle dei corpi in caduta libera dalla carlinga di un grande aereo, grande come quelli che sventrarono New York. Appartengono, quei corpi in caduta libera dalla carlinga dell’aereo, ai più disperati nella folla dei disperati di Kabul, che la mattina del 16 agosto hanno preso d’assalto l’ultima via di fuga, prima di arrendersi ai nuovi padroni dell’Afghanistan, anzi dell’Emirato islamico dell’Afghanistan, come denominato dai talebani che ne hanno appena conquistato il completo e spaventevole possesso.

Mancava poco meno di un mese per rendere perfetta la chiusura di un cerchio tragico: centro di Manhattan, 11 settembre 2001; aeroporto Hamid Karzai di Kabul, 16 agosto 2021. Vent’anni quasi esatti.

In principio, l’attentato che apre, sconvolgendolo, il secolo e che dà il via alla cosiddetta "guerra al terrorismo", su cui Washington e l’Occidente hanno impiantato la loro risposta all'11 settembre. In coda, adesso, l’atto finale di un pieno di guerre, di morti, di devastazioni, di illusioni, che è andato accumulandosi finendo come in un paradossale gioco dell’oca alla casella di partenza: con gli eredi di Osama Bin Laden, il leader massimo di Al Qaeda, che si riprendono quello che gli Stati Uniti e l’Occidente unito gli aveva sottratto per ritorsione.

Tutto il troppo che sta in mezzo tra inizio e fine di questo capitolo sconvolgente del mondo contemporaneo poggia su due piloni lontanissimi tra loro, separati da una distanza incommensurabile, eppure impastati dallo stesso cemento: esseri umani (americani i primi, afghani gli ultimi) che scelgono di morire prendendo sul tempo la morte, anticipandola, ingaggiando una sfida già persa in partenza col destino.

La parola più vera, la parola più esatta, quella più densa di significato per descrivere quello che sta accadendo in Afghanistan è la parola “interesse”. L'ha pronunciata il segretario di Stato americano: “Restare in Afganistan non è nel nostro interesse”. Raramente si è visto qualcosa di più anchilosato, rabberciato, malfatto di questa vile ritirata, di più vanitoso, lercio e appunto interessato di questo tradimento.

Fa capolino già la successiva vergogna, cancellare gli afghani dalla memoria, si appronta il cassetto dove riporli accanto ai vietnamiti, ai cambogiani, ai somali, ai curdi e agli iracheni. In Occidente i perseguitati non hanno fortuna, non suscitano simpatie perché sono deboli. Non abbiamo nemmeno provato, per nasconder la vergogna della sconfitta, a stendere la mano a coloro che sono rimasti lì, per cui non ci sarà nessun ponte aereo.

In un altro luogo del mondo dove perdiamo altre guerre, il Sahel, un vecchio con l'aria vigorosa e tranquilla di un menhir, a cui daresti dieci secoli, che ha la giovinezza e la serenità di una montagna, mi disse sospirando: voi occidentali non avete amici, avete soltanto interessi… Già: gli afghani gli darebbero adesso ragione. Il loro peccato è di essere soltanto esseri umani, troppo poco per diventare interessi, per questa trasmutazione non sono bastati venti anni.

In una delle sue ultime interviste, il fondatore di Emergency Gino Strada, che proprio in Afghanistan ha strappato decine di migliaia di vite straziate a morti certe, aveva già dato robuste picconate al ponte delle bugie e anche a quello delle illusioni. «Gli americani se ne vanno con una sconfitta, dopo aver speso più di 2 mila miliardi di dollari, e i talebani sono ancora lì. Gli afghani intanto sono più poveri del 2001, hanno avuto 4 milioni di profughi, un quarto della popolazione, più 150 mila morti, in prevalenza civili. Non si è speso per ricostruire un Paese ma per continuare una guerra. A cosa è servito? Zero». Il dottor Strada è morto il 13 agosto. Non ha visto gli afghani precipitare dalla carlinga degli aerei, ma non ne sarebbe stato sorpreso.


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