intervista a Mattia Ferrari, a cura di Flavia Amabile
in “La Stampa” del 4 giugno 2022
Il suo volto da ragazzo esposto su diversi account Twitter per mettere in mostra l'obiettivo da
colpire. La minaccia - «Non resterà impunito» - accanto alle sue parole per raccontare le operazioni
di salvataggio. Don Mattia Ferrari ha solo 28 anni e con la sua attività da cappellano e assistente
spirituale dell'ong «Mediterranea - Saving Humans» ha già dato abbastanza fastidio alla criminalità
libica che fa affari sui migranti. Da un anno è minacciato, a indagare sui profili che lo hanno preso
di mira è la Procura di Modena. Lui, invece, va avanti.
Don Mattia, dopo le minacce è cambiato qualcosa nella sua attività per i migranti?
«Nelle mie azioni nulla. C'è molta solidarietà da parte della società civile, delle istituzioni e della
chiesa. Non siamo soli. Queste minacce non devono però far dimenticare qual è il vero bersaglio, le
persone migranti in Libia. Loro sono i protagonisti di questa storia, noi siamo gli aiutanti. Il disegno
della mafia libica è provare a eliminarci per lasciare da soli i migranti. Vorrebbero che ci fosse un
grande muro tra Italia e Libia in modo che i migranti non riescano a passare. Noi abbiamo aperto
una breccia in questo muro e questo fa arrabbiare la mafia libica».
Come avete aperto questa breccia?
«Ci capita di parlare con i migranti, e a volte diventiamo testimoni di torture, abusi, crimini che
vanno denunciati. Veniamo a conoscenza di diversi casi, posso renderne pubblico solo uno perché
purtroppo il protagonista è morto. Si chiamava Sami, era un giovane scappato dal Camerun. È
arrivato in Libia, ha provato a attraversare il mare per venire in Europa ma è stato respinto ed è
finito nei lager libici dove è stato torturato e stuprato, subendo quelli che l'Onu stessa ha definito
orrori indicibili. Dopo sette mesi, quando hanno capito che era vicino alla fine, l'hanno mandato
fuori dal lager. Sapeva di non avere più molto da vivere, ha raggiunto i compagni. Era cattolico
voleva la benedizione. I compagni mi hanno chiamato e mi hanno fatto parlare con lui. L'unica cosa
che ho potuto fare è stata chiedere di perdonarci per l'ingiustizia di questo sistema che lo ha
costretto a lasciare il Camerun e per il coinvolgimento dell'Italia e dell'Ue nei respingimenti. Il
giorno dopo aver parlato con me è morto».
Che cosa ha risposto Sami alla sua richiesta di perdono?
«Ha chiesto di raccontare la sua storia. Sperava che potesse servire a non far subire ad altri la sua
stessa sorte. L'abbiamo ascoltato, abbiamo raccontato ma non è cambiato nulla».
Quando è salito l'ultima volta su una nave?
«Domenica scorsa a Mazara del Vallo dove c'è la nave con equipaggio che sta partendo per la
prossima missione. Ho accompagnato a bordo il vescovo della città. È un rito molto bello che si
ripete ogni volta che inizia una missione. La nostra piattaforma raccoglie persone provenienti da
realtà molto diverse, dalla chiesa ai centri sociali o a altre religioni come il buddismo. Ha il compito
di unirle nella comune missione di ricostruire la fraternità a partire dall'essere vicini agli ultimi
come le persone che rischiano il naufragio o il respingimento».
E l'ultima volta che ha partecipato a una missione di salvataggio in mare?
«È stato nel 2019».
Che cosa non dimenticherà mai di quella missione?
«Siamo stati testimoni dei respingimenti realizzati con il sostegno dell'Italia e dell'Europa violando
le norme internazionali sancite dalla convenzione di Ginevra. Quando siamo a bordo ascoltiamo le
comunicazioni tra Frontex, l'agenzia europea che opera lungo i confini, e la guardia costiera libica.
Siamo testimoni del coinvolgimento di Frontex nei respingimenti e questo fa ancora più male».
Si vergogna dell'Ue?
«L'Ue è complice di una violazione dei diritti umani internazionali. Quando si è a bordo lo si sente
con le proprie orecchie. A volte a confermare il ruolo di Frontex ci sono anche i tracciati aerei da
mettere in collegamento con i respingimenti. Non è questa l'Europa che sogniamo. Dovrebbe essere
fedele ai suoi valori invece come vediamo lungo tutti i confini europei è la negazione di sé stessa. Il
nostro compito è di denunciare questo tradimento da parte dell'Europa del suo ruolo fondante ci
riconosciamo invece, nelle parole di papa Francesco che chiede all'Europa di riscoprire sé stessa i
suoi valori. Delle missioni però mi porto dentro anche momenti di profonda bellezza».
Quali?
«Quando avvengono i soccorsi si hanno davanti persone costrette a lasciare in modo ingiusto la loro
terra. La nostra società li costringe a rischiare la vita su un gommone in mezzo al mare per trovare
un posto nel mondo. Si ha la sensazione di avere davanti la società che sta collassando ci mostra
dove stiamo andando tutti se non saremo capaci di invertire la rotta. Quando però vedi i tuoi
compagni che salvano la vita di queste persone ti rendi conto che c'è qualcuno nella società civile
che ha scelto di mettere a rischio la propria vita per salvare gli ultimi del mondo. Allora si capisce
che c'è ancora speranza, che questa società è malata di egoismo ma non è ancora al collasso».
Photo by Ravi Sharma on Unsplash
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