di Caterina Soffici in “La Stampa” del 15 giugno 2020
Una fotografia, talvolta, è più potente di qualsiasi parola. Questo è uno di quei casi. Questa immagine è stata scattata a Londra, vicino a Trafalgar Square, dove gli attivisti di Black Lives Matter, che sfilano per chiedere il rispetto dei diritti dei neri, vengono attaccati dai manifestanti dell'estrema destra, che rivendicano la supremazia dell'uomo bianco. Nell'agone di questi giorni concitati, da quando George Floyd è stato ucciso sotto il ginocchio del poliziotto bianco, il colore della pelle sembra essere il motore che ha mosso il mondo, il vortice intorno al quale tutto ha ruotato. Bianchi contro neri, neri contro bianchi, tafferugli con gli agenti della polizia, tutti contro le statue, tutti contro tutti. Questa foto sembra fermare il tempo e rimettere un valore al centro della scena: non è il bianco contro il nero o viceversa, ma l'uomo che aiuta l'uomo, a prescindere dal colore della pelle. Eppure, paradossalmente è proprio il colore della pelle dei due che ne fa una foto simbolo: il gigante nero si fa largo tra la folla, si carica sulle spalle il razzista ferito e lo porta in salvo. Questa fotografia ferma il tempo e scrive una parola che avevamo dimenticato: umanità. Pietà per l'altro uomo, anche se sulla carta è il mio nemico. Indulgenza. Fratellanza. Tolleranza. Parole che paiono dimenticate, e che pure sono l'essenza stessa del nostro essere umani, ciò che distingue l'uomo dal mostro. Nello sguardo del gigante nero, che poi si scoprirà risponde al nome di Patrick Hutchinson ed è un personal trainer, c'è la determinazione di chi sa di fare la cosa giusta. Non ha il mantello del supereroe, non è superman, è semplicemente un uomo che fa il suo dovere. Anche se l'altro è dalla parte sbagliata e lui sa di essere dalla parte giusta, perché è lì per recriminare i propri diritti violati, per protestare perché la comunità nera è tra quelle più colpite dal virus in termini di morti e che lo sarà in termini di crisi economica, non ci pensa due volte: sgomita nella ressa e si espone per recuperare l'uomo a terra che rischia di essere schiacciato, quindi lo deposita ai piedi della polizia. Poteva abbandonarlo al suo destino. Occhio per occhio, dente per dente. Ma Patrick Hutchinson non è un Maramaldo, non sferra il colpo finale all'uomo morto. E' il cavaliere valoroso. Il suo gesto richiama le gesta dell'eroe nell'iconografia classica. Questo è ciò che dice la foto. E già basterebbe. In serata Patrick Hutchinson aggiungerà una didascalia all'immagine che già fa il giro dei social media e diventa virale. Sono le sue parole: «Oggi abbiamo salvato una vita». E sotto l'hashtag #BlackLivesMatter aggiunge: «Non è neri contro bianchi, è tutti contro i razzisti». Poi aggiunge, in una intervista all'emittente televisiva Channel Four: «Se gli altri tre agenti di polizia che stavano in piedi quando George Floyd è stato assassinato avessero pensato di intervenire e di impedire al loro collega di fare quello che stava facendo, George Floyd oggi sarebbe ancora vivo. Voglio solo l'uguaglianza per tutti noi. Al momento, la bilancia non è in equilibrio, voglio che le cose siano giuste per i miei figli e i miei nipoti». Queste parole completano il messaggio. Ma la foto parlava già da sola.
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