di Dacia Maraini in “Corriere della Sera” del 26 settembre 2022
Se si volesse esemplificare cosa sia il fanatismo, basterebbe raccontare la storia del padre di Saman Abbas, la ragazza pakistana di seconda generazione che è stata strangolata, poi fatta a pezzi e quindi gettata nel fiume. La madre, intercettata al telefono avrebbe detto che «anche noi siamo morti quel giorno». Morti sì, ma avendo compiuto un dovere sociale e religioso, il piu disumano e orrendo che si possa immaginare. E non si tratta di un caso di egoismo famigliare , ma di una pratica che viene legittimata da una tirannica religione di Stato.
Si possono capire le inquietudini, i malumori di chi ha una identità debole e sente il bisogno di confermarla con la violenza. La brutalità infatti nasce sempre dalla paura di perdere qualcosa dell’idea che ci si fa di se stessi. Anche i femminicidi vengono perpetrati da uomini convinti che la loro identità virile consista nel possesso della donna che hanno deciso essere «propria». L’amore è l’ultima delle preoccupazioni. Si tratta di paure ataviche e del terrore tutto nuovo di perdere i privilegi che fanno parte di una arcaica concezione di superiorità maschile.
La povera Saman voleva semplicemente vivere come le sue coetanee, libera di scegliersi il fidanzato, libera di muoversi, libera di vestirsi a modo suo. Ma queste libertà sono considerate peccaminose e illegittime da una religione che pur nascendo dall’amore, col passare del tempo si è trasformata in intolleranza, potere oppressivo e tirannia. Noi ne sappiamo qualcosa. Ci sono voluti secoli per uscire dal dispotismo di una Chiesa totalitaria che aveva tradito le parole sagge e dolcissime del Cristo per torturare e mandare al rogo coloro che considerava nemici di Dio (guarda caso quasi tutte donne), in combutta col diavolo e quindi pericolose per la collettività.
Sembra che il padre di Saman, il pio Shabbar, che aveva organizzato per ragioni famigliari il matrimonio della figlia col cugino, si sia inalberato di fronte alla pretesa della figlia di scegliersi l’uomo da amare. Una offesa alla autorità del padre, e all’onore della famiglia. E dopo essersi messo d’accordo con il fratello, i figli e i nipoti (un’altra scelta significativa: Le donne devono partecipare agli orrori di una tradizione patriarcale, ma sempre in posizione passiva. Non possono né agire né impedire di agire). Quindi porta in campagna la ragazza con la scusa di una passeggiata, si fa raggiungere dai parenti maschi, che terranno ferma la cugina mentre lo zio la strozzerà con una corda, poi la faranno a pezzi, la chiuderanno in un sacco e la getteranno nell’acqua che scorre. «L’ho fatto per la mia dignità e il mio onore», ha sentenziato il pakistano Shabbar. E qui si capisce la mostruosità del concetto di onore. Il nostro delitto d’onore non era la stessa cosa? Se mia moglie mi tradisce, ho il diritto di ucciderla per difendere il mio onore. Ma chi stabilisce l’onore di un uomo? Dovrebbe essere l’etica laica. Invece in questi casi l’onore viene deciso dall’alto, dai sacerdoti barbuti che rappresentano in modo meschino e violento la volontà di un Dio da loro rappresentato come intollerante e crudele. Al Dio si può disobbedire? Chiaro che no. Per questo le religioni che si identificano con lo Stato sono pericolose.
È quello che sta succedendo in Iran, dove la polizia morale ha ucciso una ragazza perché portava male il velo, ovvero non si copriva interamente e quindi con spirito religioso, i capelli. Naturalmente oggi la polizia nega. Dicono che è morta di infarto. Ma da dove vengono quelle ecchimosi, quei segni di calci, e pugni che le coprono il corpo? Le donne iraniane, pur sotto minaccia di prigione e di frustate, sono scese in piazza per protestare. Con un coraggio ammirevole, sapendo quanto rischiano. Ma il coraggio vero lo si vede in queste situazioni: quando si rischia e si protesta lo stesso per difendere le proprie idee, i propri valori.
Mi vengono in mente le difese del velo che ho sentito da tante parti anche occidentali: sono le donne che lo desiderano, è una espressione religiosa, una scelta di pudore. Non vi dicono niente queste ragazze che si tagliano i capelli in strada gettando via il velo, mostrando quanto sia isterica e repressiva la pretesa di fare sparire il corpo femminile sotto ampie vesti scure per non destare il desiderio maschile?
Queste donne oggi ci stanno dando un esempio di coraggio straordinario e di fede nella libertà. Dovremmo imparare da loro anziché cedere alla tentazione di una sorda e cinica passività, con la scusa che «tanto non cambia niente». Cambia invece, se veramente lo vogliamo, anche se si rischia qualcosa.
Tutta la mia solidarietà alle ragazze iraniane e ai giudici che hanno condannato con parole severe l’azione di un padre che ha voluto uccidere la figlia per difendere il suo vile e antistorico onore.
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