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Per favore fermatevi

Colloquio con papa Francesco a cura di Luciano Fontana in Corriere della Sera del 3 maggio 2022

«Scusatemi se non posso alzarmi per salutarvi, i medici mi hanno detto che devo stare seduto per il ginocchio. Ho un legamento lacerato, farò un intervento con infiltrazioni e si vedrà. Da tempo sto così, non riesco a camminare. Una volta i papi andavano con la sedia gestatoria…»: è la prima cosa che il papa dice con un largo sorriso appena entrati nel salotto di Santa Marta. Ma non è questa la preoccupazione principale del Pontefice. Parlare di quello che sta accadendo nel cuore dell’Europa gli provoca tormento. «Fermatevi», fermate la guerra è l’appello che ha gridato dal 24 febbraio scorso, quando le armate russe hanno invaso l’Ucraina. Lo ripete ancora, quell’appello. Con lo sconforto di chi vede che non sta accadendo nulla. C’è una vena di pessimismo nelle parole con cui Bergoglio ricorda gli sforzi che sta facendo per ottenere almeno il cessate il fuoco. Il Pontefice mette in fila tutti i tentativi fatti. «Il primo giorno di guerra ho chiamato il presidente ucraino Zelensky al telefono — dice Papa Francesco —, Putin invece non l’ho chiamato. L’avevo sentito a dicembre per il mio compleanno ma questa volta no, non ho chiamato. Ho voluto fare un gesto chiaro che tutto il mondo vedesse e per questo sono andato dall’ambasciatore russo. Ho chiesto che mi spiegassero, gli ho detto “per favore fermatevi”. Poi ho chiesto al cardinale Parolin, dopo venti giorni di guerra, di fare arrivare a Putin il messaggio che io ero disposto ad andare a Mosca. Certo, era necessario che il leader del Cremlino concedesse qualche finestrina. Non abbiamo ancora avuto risposta e stiamo ancora insistendo, anche se temo che Putin non possa e non voglia fare questo incontro in questo momento. Ma tanta brutalità come si fa a non fermarla?».

Papa Francesco tenta anche di ragionare sulle radici di questo comportamento, sulle motivazioni che lo spingono a una guerra così brutale. Forse «l’abbaiare della Nato alla porta della Russia ha indotto il capo del Cremlino a reagire male e a scatenare il conflitto. Un’ira che non so dire se sia stata provocata, ma facilitata forse sì». E ora chi ha a cuore la pace si trova di fronte la grande questione della fornitura di armi, da parte delle nazioni occidentali, alla resistenza ucraina. Una questione che non trova tutti d’accordo, che spacca il mondo cattolico e quello pacifista: «Non so rispondere, sono troppo lontano, all’interrogativo se sia giusto rifornire gli ucraini. La cosa chiara è che in quella terra si stanno provando le armi. I russi adesso sanno che i carri armati servono a poco e stanno pensando ad altre cose. Le guerre si fanno per questo: per provare le armi che abbiamo prodotto. Così avvenne nella guerra civile spagnola prima del secondo conflitto mondiale. Il commercio degli armamenti è uno scandalo, pochi lo contrastano. Due o tre anni fa a Genova è arrivata una nave carica di armi che dovevano essere trasferite su un grande cargo per trasportarle nello Yemen. I lavoratori del porto non hanno voluto farlo. Hanno detto: pensiamo ai bambini dello Yemen. È una cosa piccola, ma un bel gesto. Ce ne dovrebbero essere tanti così». Le parole di Francesco, nella conversazione, tornano sempre a ciò che è più giusto fare. Molti gli hanno chiesto il gesto simbolico di una visita in Ucraina. Ma la risposta è netta: «A Kiev per ora non vado — spiega —. Ho inviato il cardinale Michael Czerny e il cardinale Konrad Krajewski che si è recato lì per la quarta volta. Ma io sento che non devo andare. Io prima devo andare a Mosca, prima devo incontrare Putin. Ma anche io sono un prete e faccio quello che posso. Se Putin aprisse la porta...».

Può essere il patriarca Kirill, capo della Chiesa ortodossa russa, l’uomo in grado di convincere il leader del Cremlino ad aprire uno spiraglio? Il Pontefice scuote la testa e racconta: «Ho parlato con Kirill 40 minuti via zoom. I primi venti con una carta in mano mi ha letto tutte le giustificazioni alla guerra. Ho ascoltato e gli ho detto: di questo non capisco nulla. Fratello, noi non siamo chierici di Stato, non possiamo utilizzare il linguaggio della politica, ma quello di Gesù. Siamo pastori dello stesso santo popolo di Dio. Per questo dobbiamo cercare vie di pace, far cessare il fuoco delle armi. Il Patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin. Io avevo un incontro fissato con lui a Gerusalemme il 14 giugno. Sarebbe stato il nostro secondo faccia a faccia, niente a che vedere con la guerra. Ma adesso anche lui è d’accordo: fermiamoci, potrebbe essere un segnale ambiguo».

L’allarme di una guerra mondiale a pezzettini che Papa Bergoglio aveva fatto negli anni passati sta diventando qualcosa che deve scuotere le coscienze di tutti. «Il mio allarme non è stato un merito, ma solo la constatazione della realtà: la Siria, lo Yemen, l’Iraq, in Africa una guerra dietro l’altra. Ci sono in ogni pezzettino interessi internazionali. Non si può pensare che uno Stato libero possa fare la guerra a un altro Stato libero». La conversazione sulla guerra volge al termine e la sintesi sembra pessimista: «Per la pace non c’è abbastanza volontà — è l’amara constatazione di Francesco — la guerra è terribile e dobbiamo gridarlo».


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