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Rapporto choc della Chiesa francese:216mila vittime minorenni di abusi

di Daniele Zappalà in “Avvenire” del 6 ottobre 2021




Nella Chiesa francese nessuno potrà più vederli come fatti isolati, avvenuti qui o là e sparpagliati nel tempo. Perché è stata la stessa comunità ecclesiale della Francia, mossa da un bisogno di verità, a chiedere che piena luce fosse fatta sulla propria selva più oscura, quella degli abusi perpetrati nell’arco d’un tempo della durata dantesca d’una vita: gli ultimi 70 anni. E raggelano le conclusioni, insieme con le cifre, esposte il 5 ottobre dalla Commissione Ciase, l’organismo indipendente voluto dalla Conferenza episcopale francese, che lo ha affidato nel 2018 a Jean-Marc Sauvé, alto funzionario pubblico credente e già vicepresidente del prestigioso Consiglio di Stato. In una sala dominata da un pesante silenzio, le gole si sono ancor più serrate quando Sauvé ha spiegato che in 70 anni, in Francia, sono «216mila» le vittime stimate di abusi sessuali da parte di preti e religiosi uomini, prendendo come base la popolazione ancora in vita. Un dato citato assieme a quello delle «330mila» vittime totali, considerando pure gli abusi dei laici attivi in istituzioni cattoliche come scuole, oratori, gruppi scout. Nell’80% dei casi, si è trattato di ragazzi di sesso maschile, spesso fra i 10 e i 13 anni. La Ciase è entrata direttamente in contatto con 2.700 vittime, mentre altre 4.800 sono state identificate grazie ad archivi diocesani, ministeriali o giornalistici. Le stime sono state estrapolate sondando pure un campione rappresentativo di 28mila persone. Le conclusioni potrebbero sembrare incredibili, se non fossero il frutto di tre anni di lavori da parte d’un gruppo di ventuno personalità autorevoli del mondo scientifico, medico e giuridico, quasi per metà donne, scelti da Sauvé per riunire competenze complementari, come il magistrato Antoine Garapon, la teologa Marion Muller-Colard, lo psichiatra infantile Thierry Baubet, l’antropologa Laëtitia Atlani-Duault. Ad infliggere incancellabili sofferenze sono stati «fra 2.900 e 3.200 pedocriminali», su un totale di circa 115mila preti e religiosi uomini. «È come gettarsi dal secondo piano della Tour Eiffel»: così una vittima descrive il coraggio necessario, da adulto, per testimoniare su simili orrori davanti ad estranei. A citarlo, in apertura della presentazione di ieri, è stata un’esponente della Ciase e specialista di maltrattamenti infantili, Alice Casagrande, sottolineando pure quanto doloroso sia stato l’ascolto prolungato di circa 250 testimonianze di vittime e familiari, ricordando in particolare le «lacrime di un settantenne» e la «rabbia di una donna». Sul piano storico, Sauvé ha evidenziato che gli anni Cinquanta e Sessanta sono stati i più macchiati dall’orrore, prima d’un sensibile calo nel ventennio seguente. Ma dal 1990 in poi, la curva non scende più. Dunque, «il problema sussiste». Sauvé ha tenuto a ricordare il carattere spaventosamente pervasivo degli abusi nell’intera società francese, dato che «5,5 milioni di maggiorenni hanno subito violenze prima dei 18 anni», nella stragrande maggioranza dei casi nella cerchia familiare. In proposito, l’esempio della Ciase serve già da modello per il lancio di iniziative simili in altre sfere sociali. Per il rigore con cui ha impostato e condotto le sue inchieste, la commissione è stata ringraziata tanto dalla Chiesa di Francia, quanto dalle vittime, rappresentate ieri sulla scena da François Devaux, dell’associazione “La Parola liberata”, autore d’un intervento durissimo durante il quale ha rivendicato compensazioni tangibili.

Reagendo pubblicamente dopo la pubblicazione della Ciase mercoledì durante l’udienza generale, papa Francesco ha espresso la sua “tristezza” e il suo “dolore” per i traumi vissuti dalle vittime. “È il momento della vergogna”, ha dichiarato: “La mia vergogna, la nostra vergogna per la troppo lunga incapacità della Chiesa di mettere le vittime al centro delle sue preoccupazioni”. Un’espressione forte usata già martedì dal presidente della Conferenza episcopale francese, Mons. Eric de Moulins-Beaufort, e ripresa da altri responsabili, per esprimere il loro sgomento e sconvolgimento interiore di fronte alla scoperta dell’ampiezza degli abusi sessuali nella Chiesa. Di solito, la vergogna si nasconde. È un sentimento che spinge a voler scomparire, a sottrarsi allo sguardo altrui per paura di essere giudicati. Ma è ancora un atteggiamento narcisistico, “autoriferito” per dirla come papa Francesco. Manifestare pubblicamente la propria vergogna, con parole, ma anche con silenzi o atteggiamenti, è accettare di non essere più al centro. È mettere le vittime al primo posto nelle nostre preoccupazioni, essere solidali con queste persone che, in un doloroso e perverso rovesciamento hanno spesso e a lungo vissuto con vergogna quello che avevano subito. Esprimere la propria vergogna è anche volerne uscire e lasciar intravedere che si è pronti a interrogarsi sulla propria parte di responsabilità. È “la mia vergogna, la nostra vergogna”, ha detto Francesco, invitando in questo modo tutti i fedeli ad assumere la dimensione collettiva di questa responsabilità perché la giustizia a favore delle vittime sia restaurata. Fino al giorno in cui ci sarà di nuovo possibile guardarle negli occhi e sostenere il loro sguardo. Senza ombra né vergogna sul volto

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