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Da braccianti a "untori"

di Goffredo Buccini

in “Corriere della Sera” del 26 giugno 2020


Eccoli gli invisibili. Li vediamo quando ci fanno paura. Ma è tardi. Un brutto segnale quello che arriva da Mondragone, terra che già vive il dramma dei roghi e del caporalato. E alla fine li vediamo, gli invisibili: ma sempre troppo tardi, solo quando ci fanno paura. Così sono pessimi i segnali che vengono da Mondragone, terra casertana già piagata dai roghi camorristi dei rifiuti e dalla schiavitù imposta nei campi dai caporali. In uno dei mille ghetti d’Italia, dove ammassiamo stranieri più o meno irregolari per farli vivere in condizioni più o meno infami, si accende la scintilla della pandemia: residenti italiani contro braccianti bulgari e rom accusati di essere untori. Lo sfondo: i palazzoni ex Cirio, in parte occupati abusivamente, terra di nessuno dove non si sa chi abiti davvero; dunque ai primi casi di Covid-19 tra i bulgari dilaga il panico, sette o ottocento stranieri vivono ammassati nei casermoni e potrebbero diventare una bomba sociale e sanitaria come i lavoratori dei mattatoi tedeschi («il nostro autunno sarà come è ora in Germania», ha ammonito il virologo Crisanti); la mini-zona rossa istituita lunedì non tranquillizza, perché di notte i braccianti stranieri evadono, vogliono andare nei campi dove li aspettano pomodori da raccogliere e pochi preziosi euro l’ora per una fatica da bestie, «se non lavoriamo, non mangiamo: e che ci stiamo a fare qui?». Villa Literno coi suoi filari è a nemmeno venti chilometri: la stessa campagna dove morì ammazzato 31 anni fa Jerry Masslo, il primo migrante di cui ci accorgemmo sempre troppo tardi, quando già gli avevano sparato per un pugno di lire. Castel Volturno ne dista appena dieci, di chilometri: è il paesone della strage del 2008, dove il clan Setola uccise per imporre la sua dittatura ai migranti, il pizzo sul diritto di esistere. Dunque, la quinta di questa che già chiamano «guerriglia» tra gli ultimi, con la solita somma di fascisti e ultrà a dar fuoco alle polveri, è gravata di memoria funesta.


Ma sarebbe sbagliato circoscrivere la storia a sottotitolo di Gomorra. I ghetti d’Italia col Covid-19 possono esplodere da Nord a Sud se «il rosso del sangue si mischia al rosso dei pomodori», come ha detto don Francesco Soddu, direttore della Caritas. I suoi volontari, scavando tra zolle e anime, hanno scritto un dossier, «Vite sottocosto», da cui risulta che il 71% dei braccianti immigrati non è iscritto all’anagrafe, il 36% è senza acqua potabile, il 30% senza servizi igienici. La tanto sbandierata regolarizzazione, su cui si sono accapigliati i politici settimane fa, è meno che un cerotto. Nuovi guai incombono, con i profughi, in arrivo da un Mediterraneo fuori controllo e una Libia in fiamme, a loro volta sospettati paradossalmente di portare il morbo in una terra come la nostra, che ha spaventato di suo il resto del mondo. La campagna elettorale fino alle regionali di settembre non aggiungerà certo buoni consigli (già Salvini e De Luca tornano a duellare su Mondragone). Perché il consiglio sarebbe poi uno solo: trovare insieme il coraggio per guardare in faccia gli invisibili e, una volta tanto, vederli, prima che sia tardi.


(cover photo: corrieredellemigrazioni.it)

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