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La guerra che tutti abbiamo già perduto

di Giuseppe Savagnone in www.tuttavia.eu del 24 giugno 2022


Di solito le guerre hanno dei vinti e dei vincitori. C’è chi dal conflitto esce rafforzato e arricchito, chi, invece, indebolito e impoverito. La guerra in Ucraina resterà alla storia, probabilmente, per avere contraddetto questa logica elementare. Stanno perdendo tutti. O, per meglio dire, stiamo perdendo tutti.

Certo, i primi a sperimentare i suoi effetti rovinosi sono i due diretti protagonisti, la Russia e l’Ucraina. Loro, per cui avrebbe dovuto valere in modo più evidente il dualismo vincitore-vinto. E invece stanno perdendo entrambi.

Per quanto riguarda il Paese aggredito, il ruolo di perdente non dovrebbe sorprendere. Era quello che tutti si aspettavano quando l’invasione russa è cominciata, con forze soverchianti, da tutte le direzioni.

Dopo i clamorosi errori commessi nelle prime settimane, i russi hanno preso in mano le redini del conflitto, hanno conquistato gran parte del Donbass e proseguono lentamente ma implacabilmente la loro offensiva. In ogni caso, stanno distruggendo tutto quello che riescono a raggiungere. Sono eloquenti le immagini di centri abitati rasi al suolo, da cui la gente è fuggita – più di cinque milioni di profughi! - Terribile la notizia dei duecentomila bambini ucraini trasferiti in Russia e proposti in adozione a cittadini russi. Per non parlare del blocco dell’esportazione del grano di cui l’Ucraina era una delle principali produttrici, o della sua sottrazione ad opera degli occupanti. Ma è tutta l’economia che, ovviamente, è andata in crisi. Ma anche dal punto di vista della Russia non si può certo parlare di una vittoria. Questa guerra, scatenata senza preavviso e senza tentare prima adeguate vie diplomatiche, si sta rivelando anche per essa un disastro. Un disastro militare, innanzi tutto, per le enormi perdite umane e materiali subite dal suo esercito. Ma la guerra è, per la Russia, anche e soprattutto un disastro economico.

Le sanzioni non le hanno impedito di continuarla, ma ciò non significa che non abbiano avuto effetto. Per quest’anno si stima una contrazione almeno tra il 10 e il 12,5% del PIL. Dall’inizio di gennaio il rublo è andato a picco, perdendo oltre la metà del suo valore sul dollaro. Per non parlare della fuga di molte grandi multinazionali e dell’esodo di professionisti russi qualificati. Soprattutto, questo conflitto ha distrutto la fitta rete di ponti umani, politici, economici che, dopo la fine della “guerra fredda”, avevano sempre più strettamente collegato la Russia al mondo occidentale, rendendola una credibile partner a tutti questi livelli, e l’ha irrimediabilmente respinta verso l’Asia, dove Cina ed India sono rimaste le sue grandi interlocutrici e i suoi principali mercati.

Ma a pagare i disastri di questa guerra non sono solo i suoi diretti protagonisti. È sempre più chiaro che le sanzioni hanno un effetto boomerang che colpisce anche chi le infligge. Ed era inevitabile, in un sistema economico globalizzato, dove tutti dipendevano da tutti e dove perciò rompere i rapporti con un Paese come la Russia non poteva non ritorcersi drammaticamente oltre che sul destinatario, anche sugli autori di questa rottura.

In primo piano sono i gravissimi danni che stanno subendo e subiranno sempre di più Paesi come la Germania e l’Italia, che dipendevano dalle importazioni di petrolio e di gas russi. Ma in tutta l’Europa è tutto un tessuto di relazioni commerciali, prima fiorenti, che è stato improvvisamente lacerato, senza più prospettive di recupero. Ancora più drammatica si profila però la crisi umanitaria che investe tutto il mondo e che appare inevitabile, se il grano ucraino rimarrà bloccato dalla guerra, come sta accadendo. Ci sono 38 Paesi in crisi alimentare che dipendono in maniera totale dal grano russo o ucraino. Decine di milioni di persone rischiano di morire di fame a causa di questa “guerra commerciale”. Col rischio che molte di loro cerchino la salvezza fuggendo dai loro Paesi per venire in Occidente

Gli unici ad aver vinto, in questa guerra, sono i produttori e i mercanti di armi. I fatti stanno confermando in pieno la riflessione fatta da papa Francesco fin dall’inizio del conflitto: «Io mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si sono compromessi a spendere il 2 per cento del PIL per l’acquisto di armi come risposta a questo che sta accadendo, pazzi!», aveva detto il pontefice. «La vera risposta non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione. Parlo di un modo diverso di governare il mondo, non facendo vedere i denti». Un modo, ha precisato, che non sia «il frutto della vecchia logica di potere che ancora domina la cosiddetta geopolitica» – che è il «potere economico-tecnocratico-militare», in base a cui «si continua a governare il mondo come uno “scacchiere”, dove i potenti studiano le mosse per estendere il predominio a danno degli altri».

Si farà strada questa logica, drasticamente alternativa, di fronte alla prova evidente che questo conflitto è un autolesionismo collettivo? Sarebbe bello poterlo sperare. Dobbiamo sperarlo. Se vogliamo evitare che questa guerra, già perduta da tutti, degeneri ulteriormente nel suicidio collettivo di una catastrofe nucleare.

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